Archivi digitali, e duraturi!

Un aspetto molto importante della progettazione è quello della catalogazione e archiviazione dei dati di progetto. Catalogare significa grosso modo assegnare un codice univoco a ciascun dato che noi produciamo (un modello 3d, un disegno 2d, una distinta, uno schema, un manuale, un’offerta, una fattura, etc etc), in modo da poterlo richiamare quando sia necessario per mandare in produzione una commessa o per prendere spunto da una vecchia progettazione per intraprenderne una nuova su una base esistente. Ovviamente serve avere una sorta di indice che ci dica dove andare a ritrovare questi dati nel coacervo di dischi e condivisioni che troveremo normalmente in una LAN aziendale, ma questo non è quasi mai un problema: sia che si usi il search di Windows, sia che utilizzano più sofisticati database relazionali, l’importante è avere un sistema di codifiche o parole chiave che ci aiuti nella ricerca.

Ben-Stiller-Watch-In-The-Secret-Life-Of-Walter-Mitty-Movie-9Un lato che invece quasi sempre è trascurato nelle piccole o piccolissime aziende (a volte anche nelle medie) è quello della persistenza nel tempo degli archivi digitali. Il problema quì non è tanto la salvaguardia fisica dei dati, che con minime accortezze di backup è quasi sempre assicurata, ma bensì la capacità di leggere quei dati fra molti anni. Un file di qualunque tipo è immagazzinato sul nostro disco come una sequenza di 0 e 1, e si capisce immediatamente che per leggerlo abbiamo bisogno di un interprete che prenda quegli 0 e 1 e li trasformi in caratteri e linee comprensibili sullo schermo. Questi interpreti sono i software che abbiamo a disposizione come strumenti di lavoro, a partire da Windows o Linux, passando per Word o Libreoffice, per finire ai vari CAD o FEM che utilizziamo quotidianamente. Ora immaginiamo di non avere più a disposizione uno di questi interpreti per un qualunque motivo: come potremmo fare a leggere questi dati? Facendo un’analogia, sarebbe come avere il nostro archivio documentale scritto tutto in tedesco, e improvvisamente ci troviamo a che sia andato in pensione l’unico in azienda che parlava quella lingua, saremmo in bel guaio!

Il problema è relativamente nuovo nel mondo aziendale, perchè l’archiviazione digitale è diventataAmanuensi-a massiva diciamo a partire da una ventina d’anni a questa parte, dopo secoli (o millenni) in cui l’archiviazione si è sempre fatta in forma cartacea con schedari fisici. Si iniziano però a vedere i primi problemi: “ho un vecchio disco con file in formato *.mi, forse e’ un vecchio cad che si chiamava M11, qualcuno potrebbe aiutarmi?”, o anche, per fare un esempio più comune, avere vecchi file di testo fatti con Wordperfect, un programma un tempo abbastanza diffuso e oggi sparito. In casi come questi l’unica maniera per recuperare questi archivi è avere a disposizione l’interprete (l’editor) con cui vennero creati a suo tempo, cosa che potrebbe rivelarsi parecchio ardua, vuoi perchè abbiamo perso i supporti di installazione, vuoi perchè li abbiamo ma sono di tipo non più leggibile dai nostri computer (dischi floppy o cassette a nastro magnetico), vuoi perchè questi software non sono più funzionanti sui computer che abbiamo a disposizione (un programma per workstation UNIX, che non abbiamo più magari da 15 anni).

Questo è il problema ben noto dei file salvati in formato proprietario, ossia scritti in una “lingua” che e’ comprensibile e traducibile solo dalla software house che produceva l’editor che utilizzavamo per produrre quei file: un formato propietario infatti è fatto in modo tale che solo chi lo ha ideato è in grado di leggerlo e interpretarlo, e questo per una ben precisa strategia di protezione del proprio business, nel senso che l’utente sarà legato per la vita a quella software house, almeno fino a quando vorrà essere in grado di leggere quei dati. Le grandi istituzioni pubbliche sono già da molti anni conscie della gravità del problema, e hanno ingaggiato una severa battaglia per rendere il formato dei file non più “segreto” ma redatto secondo specifiche pubbliche e accessibili a chiunque altro voglia scrivere un editor per quei file, spezzando in questo modo la correlazione file <–> editor che costringeva a legarsi a uno specifico fornitore di software. Purtroppo al momento questa nozione sta passando solo per i file di ufficio (testo e fogli di calcolo, principalmente), in cui spesso si impone il salvataggio dei dati in formato Opendocument. In ambito CAD invece siamo ancora fermi al DWG o ai mille altri formati proprietari di ogni diverso produttore di software di progettazione. Per i modelli 2D ci viene incontro il formato PDF, che e’ un formato aperto e documentato per cui chiunque in teoria potrebbe creare un editor, salvandoci quindi dall’obsolescenza tecnica che porterebbe alla perdita dei dati. Quasi sempre i sistemi PDM creano il corrispondente file PDF ogni volta che viene salvata la tavola 2d, purtroppo lo stesso non si può dire delle piccole aziende che il PDM non ce l’hanno, e nelle quali quasi sempre anche il dato 2d resta in formato proprietario. Questi file PDF poi potremo lasciarli archiviati sul disco o stampati su carta (quasi sempre la prima), per futura consultazione.

Per essere sicuri di essere in grado di leggere un dato 3d fra 10 o 50 anni invece, la cosa si complica molto: un dato 3d non possiamo stamparlo, ma possiamo solo visualizzarlo sullo schermo, e per fare ciò avremo bisogno dell’interprete di cui sopra. Esistono formati aperti e non propietari anche per i dati 3d, che ci permettono di accedere ai dati anche in assenza dell’editor con cui li abbiamo prodotti. Quelli più diffusi nell’industria meccanica sono:

  1. Iges (estensione *.igs o *.iges, anche 2d)
  2. STEP (estensione *.stp o *step)
  3. JT ( estensione *.jt, formato propietario della Siemens-PLM, ma con specifiche aperte e documentate)
  4. Pdf-3d (Universal 3d)

Il formato IGES è stato il primo formato aperto disponibile in ambito 3d. Oggi viene poco usato, forse a causa della sua stessa popolarità che ha portato alla proliferazione di vari “dialetti”, ossia vari formati IGES anche leggermente diversi, che hanno via via portato ad una incompatibilità anche all’interno della stessa classe di formato di file!

Il formato STEP è forse quello più utilizzato attualmente, e l’unico per cui è stata definita una specifica per l’archiviazione a lungo termine dei dati 3d (LOTAR: LOng Term Archivial and Retrivial), per iniziativa dell’industria aerospaziale. La specifica STEP è in continua evoluzione, la versione attuale (214) permette la trasmissione di poco più delle superfici grezze del solido, ma sono previste future implementazioni che permetteranno la salvaguardia di altre classi di dati: info anagrafiche, vincoli di assieme, metadati vari.

Il formato JT è stato introdotto anni fa dalla Siemens-PLM principalmente nel settore automotive. A differenza dello step permette già ora la trasmissione dei metadati, e una cosa interessante è la possibilità che dà all’utente di definire il livello di dettaglio che vuole includere nel file esportato nel formato aperto: dalla geometria completa (come lo step) ad una semplice tassellazione superficiale (come il stl), aiutando così la protezione della proprietà intellettuale.

Il formato PDF 3d si sta diffondendo impetuosamente negli ultimi anni, anche se il suo utilizzo è più frequente per la visualizzazione del dato 3d, che per la sua archiviazione. Come il JT anche esso può contenere la geometria di precisione oppure semplificata.